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Magnifica presenza

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MAGNIFICA PRESENZA di Ferzan Ozpetek, con Elio Germano, Paola Minaccioni, Margherita Buy, Claudia Potenza, Beppe Fiorello, Vittoria Puccini, Andrea Bosca e la partecipazione straordinaria di Anna Proclemer.

Se non amate i fantasmi, non cercateli, non chiamateli e, soprattutto, non fategli del male. Perché probabilmente il male lo hanno già subito in quanto fantasmi che sopravvivono a noi e in noi che li abbiamo creati. Il plurale è dovuto, in quanto nel film di Ozpetek sono otto di numero, un’intera Compagnia teatrale che si aggira nella casa del loro subìto misfatto. Il dramma però, ci dice il regista, non è solo in loro, è anche in noi che li viviamo come ‘magnifica presenza’ nel nostro inconscio quotidiano. É il dramma del protagonista (Elio Germano) che si trova a dover rivedere l’impostazione della sua vita tra passato e presente, tra l’ambiguità e l’assolutezza di vivere. Come del resto hanno sempre fatto loro (i fantasmi) in qualità di attori (e che attori), con le loro maschere appiccicate sul volto che non hanno più pulito dal trucco e dagli orpelli della scena. Da quando, nel 1943, per effetto della guerra sono dovuti scappare dal teatro, luogo sacralizzato dalla loro esistenza, piazza universale di un mondo che devono ancora scoprire. Che noi stessi dobbiamo scoprire, anche se, recitare senza copione e senza parte è quello che facciamo regolarmente nel nostro quotidiano vivere. Loro vivono là, annichiliti dentro la sceneggiatura che li contempla, anche se ormai sono fuori del tempo, fuori da questo mondo che in parallelo col passato chiede di entrare nella storia. Ma noi che dovremmo restituirli alla dimensione del presente, per essere davvero noi, presenti a noi stessi, saremo mai in grado di farlo? Forse per fare questo, dovremmo quantomeno amarli.

Una sceneggiatura da brivido al limite del nichilista, tuttavia poetica e inquietante, che unisce le due diverse realtà dentro la fantastica figura del giovane protagonista, tra il candore e l’incredulità, la sfiga e la semplicità (difficile da raggiungere), in mezzo a uno stuolo di attori che dimostrano avere grande spessore psicologico (sulla scena) e di mestiere (nel cinema). Bravi davvero tutti indistintamente, all’altezza di una stagione pirandelliana da ‘Compagnia dei Giovani’ di buona memoria.
Riguardo alla regia, la mano felice di Ozpetek raggiunge in questo suo ottavo film, l’armonia ricreata di un brano orchestrale diretto da un grande maestro, che dal pianissimo iniziale diventa maestoso nella coralità finale, lì dove come in un giro di valzer, il protagonista accompagna in tram la Compagnia alla scoperta della moderna città, a convalida del loro essere presenti. Ottime le luci e la fotografia, buono il ritmo nel montaggio delle scene anche se un po’ sciatto, che mi fa dire peccato, un così bel film sciupato per l'inavveduta confezione.
Discutibile la scelta musicale (solitamente così azzeccata), sebbene i brani benché accattivanti, qua e là sembrano evidenziare un’ambientazione medio orientale che di fatto non è. Ma questo possiamo ben concederlo al regista turco di nascita per la lezione (tutta italiana), che sta impartendo al nostro cinema, in prosecuzione di quanti, in passato, si sono cimentati nel genere. E sono nomi celebri, anzi direi altisonanti della nostra letteratura e del cinema della migliore tradizione: Pirandello, De Filippo, Castellani, Flaiano-Pietrangeli, Fellini, tra i quali, adesso, e a buon titolo, s'inserisce Ozpetek.
Ma come si sa i fantasmi italiani sono diversi da quelli di ogni altra parte del mondo, sono ironici, scherzosi, ‘affattucchiati’, capaci di rendere questa vita un po’ meno amara tirando qualche scherzetto in buona fede, così per ammazzare il tempo della malinconia e della solitudine. E perdoniamoli se talvolta sono un po’ sornioni, come quei gatti che oziano all’Argentina, che stanno a cuore a tanti romani e a tanti stranieri e che, in fondo, non fanno del male a nessuno.


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